Usura bancaria e anatocismo: quello che c’è da sapere

Non sono poi così rari i casi di cittadini consumatori che si ritrovino ad avere problemi con le banche per quanto riguarda il calcolo degli interessi su altri interessi già maturati

Non sono poi così rari i casi di cittadini consumatori che si ritrovino ad avere problemi con le banche per quanto riguarda il calcolo degli interessi su altri interessi già maturati. Una casistica che viene identificata con il termine tecnico di anatocismo.

La Corte di Cassazione ha più volte etichettato tale pratica come illegale e in Italia si è cercato di regolamentarla spesso, soprattutto sotto la spinta delle varie associazioni a difesa dei consumatori. È del 2014 il primo tentativo di mettere questa pratica al bando con una norma precisa anti anatocismo, che è stata poi modificata prevedendo che il calcolo di interessi sugli interessi sia legale solo se a monte vi sia un accordo tra creditore e debitore.

Perché in sostanza chi chiede un prestito con un tasso di interesse e non va poi a restituirlo, si vede calcolare le rate da restituire non più sulla somma iniziale ma su quella comprendente in tasso: ad esempio quindi, richiedendo la somma di 1.000 euro con un tasso di interesse del 2%, con l’anatocismo la cifra da restituire prevederà interessi non calcolati sui 1.000 euro bensì sui 1.200. E dall’anno successivo, il calcolo non sarà più sui 1.200 ma sui 1.440 e così via.

Un meccanismo che genera una spirale di soldi e che spesso viene identificato anche con il termine di usura bancaria. Con la legge del 2014 come detto, si è tentato di porre un argine stabilendo che l’anatocismo bancario è possibile solo quando venga espressamente dichiarato e che vi sia un limite oltre il quale gli interessi sono ritenuti usurai. In sostanza quindi qualsiasi interesse sia ritenuto superiore a quello indicato dalla legge, noto come tasso di soglia, è inquadrato nella definizione di usura bancaria. Fattispecie che va ovviamente a costituire un reato.

Una pratica che spesso è stata fatta passare in cavalleria per via della scarsa conoscenza che si aveva di questa materia con il risultato che, negli anni passati, diversi utenti si sono ritrovati a dover pagare somme stratosferiche. Oggi il tema è diventato per fortuna di dominio pubblico e sono tante le realtà, soprattutto associazioni a tutela del consumatore, che vanno a fornire un sostegno a chi incorra in problematiche di questo genere.

L’ultima modifica alla norma è datata 2016 e parla di divieto di produrre altri interessi su interessi debitori maturati “salvo quelli di mora”. L’unica eccezione in materia di anatocismo bancario è quindi quella legata a interessi di mora per i quali si vanno ad applicare le disposizioni del codice civile.

Fonte: http://www.varesenews.it

 

Atti giudiziari con F24: i codici tributo

L’Agenzia delle Entrate istituisce nuovi codici tributo per pagare con modello F24 le somme dovute per la registrazione di atti giudiziari richiesti dal Fisco: Risoluzione Entrate.

Niente più versamenti con il modello F23 per le somme dovute in relazione alla registrazione degli atti dell’autorità giudiziaria richieste dall’Agenzia delle Entrate, il Fisco ha istituito nuovi codici tributo per effettuare l’adempimento utilizzando il modello F24.

La nuova modalità riguarda gli atti emessi a partire dal 23 luglio 2018, per quelli precedenti continua ad applicarsi la procedura con il modello F23. I nuovi codici tributo sono contenuti nella Risoluzione 57/2018 delle Entrate.

«Per consentire, con un’unica operazione, il versamento di tutte le imposte e tasse liquidate dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, mediante il modello F24», si legge, viene istituito il codice tributo “AAGG”, denominato “Registrazione atti giudiziari – somme liquidate dall’ufficio”.

E’ possibile utilizzare il modello precompilato pubblicato sul sito delle Entrate, che viene comunque allegato all’avviso di liquidazione emesso. Oppure il modello F24 da predisporre per ogni singolo atto giudiziario, riportando i dati anagrafici, il codice fiscale e il domicilio nella sezione “Contribuente“, il codice tributo sopra esposto (AAGG) nella sezione Erario, in corrispondenza delle somme indicate come importi a debito, con l’indicazione nei campi “codice atto” e “anno di riferimento” dei dati presenti nel modello precompilato.

Ci sono poi una serie di codici tributo che vanno utilizzati da chi intende versare solo una quota dell’importo, oppure per specifiche tipologie di imposte. Se il contribuente vuole versare solo una parte dell’importo richiesto, utilizza i codici tributo A196 e A197, oppure gli attuali codici, che sono stati ridenominati. Ecco l’elenco:

  • A196” denominato “Atti giudiziari – Imposta di registro – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A197” denominato “Atti giudiziari – Sanzione imposta di registro – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A140” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Imposta ipotecaria – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A141” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Imposta catastale – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A146” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Imposta di bollo – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A148” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Sanzione Imposta di bollo – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A149” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Sanzione Imposte e tasse ipotecarie e catastali – somme liquidate dall’ufficio“;
  • A152” ridenominato “Atti giudiziari e Successioni – Interessi – somme liquidate dall’ufficio“.

Anche in questo caso, i codici vanno esposti nella sezione Erario, in corrispondenza delle somme nella colonna “importi a debito versati”, riportando anche codice ufficio, codice atto, anno di riferimento indicati dall’Agenzia delle Entrate. Per le spese di notifica si utilizza il vigente codice tributo “9400 – spese di notifica per atti impositivi”.

Fonte: PMI.it

Estorsione, usura e riciclaggio, maxi operazione a Roma coinvolge Terni

Interessate dal sequestro di beni dieci società di capitali, per un valore complessivo di circa 6,5 milioni di euro

 

 

Sono in corso anche a Terni attività di sequestro da parte della Guardia di finanza e dei Carabinieri nell’ambito di una maxi operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, denoninata “Babylonia”.

Nel dettaglio, i militari del Comando provinciale della Guardia di finanza e del Comando provinciale dell’Arma dei carabinieri di Roma stanno eseguendo un decreto di sequestro di beni emesso dal locale Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, avente ad oggetto dieci società di capitali, per un valore complessivo di circa 6,5 milioni di euro.

A pochi giorni dall’esecuzione del provvedimento che aveva disposto il sequestro di 4 imprese, per un valore di circa 7,5 milioni di euro, Guardia di Finanza e Carabinieri, operando in sinergia, hanno assestato un nuovo colpo ai due sodalizi criminali, con base a Roma e Monterotondo (RM).

 

 

L’intervento si inquadra nella nota operazione “Babylonia”, le cui indagini, eseguite dal Reparto Operativo – Nucleo Investigativo Carabinieri di Roma ed affiancate da mirati accertamenti patrimoniali del G.I.C.O. del locale Nucleo di Polizia Economico Finanziaria, avevano condotto, nel 2017, all’esecuzione di 23 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal GIP di Roma, su richiesta della D.D.A., nei confronti di altrettanti appartenenti a due distinte associazioni per delinquere – dedite all’estorsione, all’usura, al riciclaggio, al reimpiego di denaro e beni di provenienza illecita, al fraudolento trasferimento di beni e valori, con l’aggravante del metodo mafioso – al vertice delle quali vi erano gli arrestati Gaetano Vitagliano, Andrea Scanzani e Giuseppe  Cellamare (quest’ultimo poi deceduto).

In quel contesto, oltre ai destinatari della misura cautelare, erano stati indagati a piede libero altri 26 soggetti, tra cui un notaio, tre commercialisti e alcuni infedeli dipendenti di banca.

Per aggredire i patrimoni illecitamente accumulati dai capi dell’organizzazione, sussistendo una netta sproporzione tra i redditi dichiarati e le ricchezze possedute, la Procura della Repubblica di Roma aveva richiesto e ottenuto l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, a carico di Vitagliano, Scanzani e Cellamare, riguardante beni per circa 280 milioni di euro, tra cui gli storici bar “Mizzica!” di via Catanzaro e Piazza Acilia, il locale della movida romana “Macao” di via del Gazometro e la nota catena di bar “Babylon Cafe”, dalla quale l’indagine ha preso il nome, oggi in amministrazione giudiziaria.

Dagli ulteriori approfondimenti sui gruppi societari riconducibili agli indagati, operati dagli investigatori della Guardia di Finanza e dell’Arma, è stata rilevata la riconducibilità ai proposti di altre 10 società di capitali.

In particolare, la ROSSO MARGHERITA S.r.l., la MH S.r.l., la GAIA BELLA S.r.l., la MGF PALACE S.r.l., la AMIDAL S.r.l.s. e la GEST 2000 S.r.l., attive nel settore della ristorazione, l’IMMOBILIARE GABRIEL S.r.l., operante nel comparto, la MIGLIO VERDE S.r.l.s., attiva nel settore dei giochi e delle scommesse, e, infine, la GE HOLDING S.r.l., esercente l’attività di società di partecipazione, sarebbero imprese controllate, di fatto, dai proposti tramite una serie di “prestanome”. Questi ultimi, pur in assenza di adeguati profili reddituali, avevano acquisito partecipazioni societarie – anche del valore di alcuni milioni di euro – nonché movimentato ingenti somme sui conti correnti personali e societari. Nel contempo, è stato accertato come la CAGEMI S.r.l., operante nella ristorazione e già oggetto di sequestro per una quota pari al 33% del capitale sociale, fosse nella piena ed esclusiva disponibilità dei proposti.

Le attività di sequestro sono in corso di esecuzione a Roma e provincia, a Terni, Pescara e Caserta, nonché nelle province di L’Aquila e Latina.

Fonte: tuttoggi.info